Il post con cui decido di riprendere a scrivere questo blog
e tentare di ridargli vita non ha molto a che fare con i temi che ho trattato
finora, ma in qualche modo, dopo 1 anno e mezzo, devo rompere il ghiaccio.
Circa 20 giorni fa, poco prima di Natale, mi sono sottoposta
a quella che per moltissimi laureati in giurisprudenza è la madre delle torture.
Insieme ad altri 2081 (esatti) giuristi o presunti tali mi sono fiduciosamente
recata a Rimini, ingresso Ovest della Fiera, per sostenere l’esame di abilitazione
alla professione forense. Nonostante non abbia, per ora (mai dire mai),
interesse ad esercitare, ho pensato (su insistente suggerimento di alcuni) di
prendere il famigerato titolo e tentare di fregiarmi della qualità di avvocato.
Con questo post non voglio annoiarvi con minuziosi racconti
o lamentele sulla mia esperienza riminese, ma solamente sfatare alcuni miti che
ruotano attorno all’esame in questione.
Una consistente parte della popolazione italiana
(probabilmente anche a giusta ragione) ignora completamente cosa comporti
questo esame e, quindi, come si faccia a diventare avvocato; un’altra parte
della popolazione, i laureati in giurisprudenza che aspirano spasmodicamente a
questo titolo, vi ha costruito attorno leggende degne dei migliori fantasy.
Il motivo per cui voglio spiegare ai primi cosa sia l’esame
da avvocato è per rendere giustizia e merito ai secondi; la ragione per cui
voglio sfatare le leggende tramandate dai secondi è quella di tranquillizzare,
almeno un po’, i futuri esaminandi.
Premessa: ad oggi l’unica esperienza che ho è quella dello
scritto, che penso di aver passato ma in realtà non ne ho alcuna certezza. Per
l’orale non posso pronunciarmi, anche se sinceramente, per ora, l’unica cosa che
penso è che sarà noioso rimettersi sui libri 8 ore al giorno.
L’esame di abilitazione alla professione forense si compone
di due parti: uno scritto e un orale. La prima di queste si svolge tutti gli
anni circa a metà di dicembre ed è organizzata per distretti di Corti d’Appello
(diciamo, per semplificare, a livello regionale). Ciò significa che tutti gli
aspiranti avvocati di quella zona devono recarsi in un luogo prestabilito dove
svolgere le prove. L’esame si articola in 3 giorni consecutivi, uno per ciascun
“tema”. Il primo giorno i candidati devono redigere un parere in materia di
diritto civile (in sostanza si fa finta che un qualche Tizio o Sempronio chieda
consigli legali su qualcosa che gli è successo e gli si dà una risposta
scritta), il secondo giorno uno in materia di diritto penale e il terzo devono
scrivere un atto giudiziario (come quelli che si presentano in Tribunale) in
una materia a scelta tra diritto civile, diritto penale e diritto
amministrativo. Per completare le prove vengono concesse 7 ore, ma in realtà
tutta la trafila dura circa 9/10 ore ogni giorno. Questo significa che si passa
tutto questo tempo in questi enormi padiglioni (il più delle volte freddi come
non mai) insieme a migliaia di altre persone, stipati ad aspettare. Fisicamente
è un’esperienza molto, ma molto faticosa; interminabili file per i bagni tanto
che io 2 giorni su 3 ho rinunciato ad andarci e considerate che sono una donna:
non è stato affatto facile; gente nel panico ovunque che ti guarda come se
dovessi salvarla da morte certa, e molto altro. Senza contare che si passano
5/6 ore a scrivere a mano, cosa che nessuno di noi ha più fatto dopo l’esame di
maturità (e per molti di quelli che ogni anno provano ad abilitarsi, l’esame di
maturità è qualcosa di mooolto lontano). Insomma è un’esperienza pesantissima
fisicamente, non si può negare. Questo lo dico per tutti coloro che credono si
tratti di un esame di abilitazione come tutti gli altri: non lo è. “Prendere il
titolo”, come mi hanno tanto detto quelli che mi hanno ripetutamente ‘suggerito’
di farlo, non è così semplice ed è faticoso.
Dall’altro lato, invece, devo dire che se la cosa si
affronta con un minimo di tranquillità e razionalità è qualcosa di
assolutamente fattibile. Guardate, magari va a finire che a giugno scopro si
essere stata inesorabilmente bocciata (sì, da dicembre, i risultati escono a
giugno) e quindi che forse facevo meglio ad agitarmi e riempirmi d’ansia da
prestazione, ma questo non ve lo so dire. So solo che i racconti delle mie più
care amiche che avevano sostenuto l’esame prima di me lo descrivevano come “l’esperienza
peggiore delle loro vite”, tanto da portarle a dire, ogni volta che si cercava
di introdurre l’argomento per capire come fosse andata, “non ne voglio parlare
mai più”. Ora, capite bene che con tali premesse io sono partita tranquilla ma
pronta ad affrontare qualcosa che comunque mi avrebbe sconvolto. Seguendo i
loro consigli, tra le altre cose, nel mio equipaggiamento si rinvenivano:
cerotti, vitamine, salviette di ogni tipo, una torcia, 2 orologi e una sveglia
(che in realtà era il timer dello spazzolino elettrico di mia sorella), pocket
coffee come se non ci fosse un domani, acqua e coca cola (che a ripensarci bene
avrei potuto tranquillamente comprare là), cioccolatini, barrette energetiche e
molto altro.
Morale della favola? Alla fine, tra la preparazione psicologica
(più che altro terrorismo) e quella materiale che grazie alle mie (comunque
meravigliose) amiche avevo approntato, avrei probabilmente potuto resistere
alcuni giorni a un piccolo attacco nucleare ed uscirne indenne!
In conclusione, tutto questo per dire? Bhe, innanzitutto che
lo scritto dell’esame da avvocato è massacrante e che per prepararsi serve
molto riposo e per riprendersi ancora di più; in secondo luogo per rassicurare
i futuri esaminandi. State tranquilli, andate là sereni, vi sedete al vostro
posto, fate un po’ di amicizia coi vicini (che tanto saranno totalmente inutili
se non molesti) e quando dettano la traccia con calma e lucidità vi mettete a
scrivere. Basta. Non succede niente. È solo un esame, importante – magari importantissimo
– ma non deve diventare “l’esperienza peggiore della vostra vita”.
Come colonna sonora vi consiglio vivamente questa meraviglia di canzone.