Scegliere come
vivere liberamente in coppia: un diritto che gli omosessuali ancora non hanno
Realtà sociale, diritto e
religione. Questi i tre ambiti nei quali si anima il dibattito senza fine sul
nucleo essenziale di ogni società. La definizione dei legami affettivi che
uniscono le persone, come in un film di fantascienza, viaggia nel tempo, senza
sosta, dal’1 d.C. passando per il 1948, prima di transitare per il 2014. Il
problema è che sembra che i circuiti temporali della macchina del tempo di
questo viaggio siano guasti e la famiglia non riesca a “tornare al futuro”.
La famiglia della nostra
Costituzione è una società naturale
fondata sul matrimonio (art. 29). La definizione che i Costituenti hanno
voluto racchiudere nella più importante delle leggi identifica solo uno dei
diversi tipi di famiglia che, invece, sono presenti nella società odierna. La
Costituzione riconosce espressamente diritti e tutele al legame tra due persone
che contraggono matrimonio (anche religioso) con effetti civili. Il matrimonio,
quindi, è la condizione per il riconoscimento della famiglia a livello
costituzionale e legislativo.
Dall’articolo 29 restano quindi
escluse le famiglie di fatto, ossia i legami tra due persone che non sono
sposate e, si dice, convivono more uxorio. Il riconoscimento costituzionale di
questo tipo di unione è contenuto nell’articolo 2 della Costituzione con il
quale la Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. La famiglia, in tutte
le sue espressioni e manifestazioni, altro non è se non la prima e la più
importante tra le formazioni sociali
di cui parla la norma costituzionale.
Un riconoscimento costituzionale
delle coppie di fatto, quindi, c’è. Solo che quando la Costituzione parla
espressamente di famiglia parla di quella fondata sul matrimonio. Per questo i
diritti delle coppie di fatto sono da sempre oggetto di discussione, incertezza
e preoccupazione.
Coloro che scelgono di formare
una famiglia senza il legame matrimoniale solitamente lo fanno – si presume - per
un rifiuto dei vincoli e delle responsabilità derivanti dal matrimonio.
Nonostante questa scelta, libera e (teoricamente) consapevole, nel pacchetto “no obligations” c’è, in fondo e in
piccolo tanto che molti forse non se ne accorgono, anche la clausola “no rights”.
Questo significa, molto
semplicemente, che i conviventi more uxorio non essendo coniugi non si vedono
riconosciuti i diritti che la legge ricollega al matrimonio. Sarebbe illogico,
e contrario al più basilare dei principi di causa-effetto, applicare a qualcuno
le conseguenze di qualcosa che non ha fatto.
Pertanto, solo per fare qualche
esempio, le coppie di fatto si ritrovano senza diritti successori nei confronti
del partner (fatto salvo quanto può essere disposto tramite testamento), senza
diritti patrimoniali, senza diritti sull’abitazione, prive quasi totalmente del
diritto a partecipare alle decisioni riguardanti la salute del partner, e così
via.
A questo punto viene da chiedersi
dove si collochino le coppie omosessuali in questo, rassicurante (!), quadro.
In effetti, ragionandoci un attimo, da nessuna parte.
Nel nostro paese è noto che le
persone dello stesso sesso non possono sposarsi civilmente. Questo fa sì che,
automaticamente, le coppie omosessuali diventino famiglie di fatto. Solo che
una piccola, fondamentale differenza rispetto alle coppie di fatto tra partner
di sesso diverso c’è: le coppie omosessuali non hanno, in Italia, possibilità
di scegliere.
Chi trova la propria anima
gemella in una persona del suo stesso sesso è costretto dall’ordinamento
italiano a vivere un legame privo di tutele. Infatti, mentre due persone di
sesso diverso scelgono e decidono liberamente di non contrarre matrimonio,
assumendosi le responsabilità di questa scelta, le coppie omosessuali non
possono decidere che forma dare al loro legame, poiché per l’ordinamento il
loro legame non esiste.
Giuridicamente, e non solo,
l’ampiezza della libertà di ciascun individuo passa attraverso il numero di
opzioni tra le quali può scegliere. In questi termini, le coppie omosessuali
sono “prigioniere” della zona grigia in cui la loro unione si ritrova.
E allora quali i rimedi? Meglio
puntare al fattibile piuttosto che all’irraggiungibile. In un momento in cui
non si riesce a mettere in atto nemmeno l’abolizione dalla Costituzione delle
province, è impensabile che la società italiana accetti l’idea di modificare la
definizione costituzionale di famiglia, per esempio togliendo il “fondata sul
matrimonio” dall’articolo 29. A livello della religione cattolica le cose non
vanno meglio: il tentativo del Papa di allargare le vedute sul tema dei
divorziati e degli omosessuali si è scontrato con la rigidità dell’ordinamento
canonico. Ma non siamo qui a disquisire se l’amore di qualsiasi Dio passi
attraverso la scelta di ognuno di amare chi vuole.
In una prospettiva di fattibilità,
quindi, le coppie omosessuali potrebbero trovare tutele solo attraverso una
parificazione della loro libertà di scelta a quella delle altre coppie di
fatto, quelle eterosessuali.
Questa equiparazione, sotto il profilo della
libertà di scelta, può passare attraverso due strumenti che sarebbe opportuno uscissero
dalle aule del Parlamento.
Le strade percorribili sono:
quella di una legge che regoli il matrimonio civile tra le persone dello stesso
sesso (e che, in quanto legge dello Stato e incidente solo sul matrimonio
civile, non invaderebbe in alcun modo la sfera degli ordinamenti religiosi);
oppure quella di un provvedimento normativo che disciplini diritti e doveri
delle coppie di fatto registrate, regolarizzando e uniformando le positive
esperienze comunali dei registri delle unioni civili.
Il dibattito sul tema delle
coppie omosessuali e delle nuove tipologie di famiglia è però talmente
attaccato a concezioni ideologiche che nessuna delle opzioni che abbiamo appena
visto ha potuto, in Italia, spingersi più in là di un qualche disegno di legge
dimenticato o accuratamente nascosto in qualche cassetto.
Così, le coppie omosessuali non
hanno potuto far altro che andare a cercare, non tanto tutela giuridica, quanto
riconoscimento e accettazione all’estero nei molti Paesi, anche in Europa, che
permettono il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Solo che al loro
rientro in Italia i novelli sposi o le novelle spose si ritrovano nella stessa
situazione di partenza e il loro vincolo matrimoniale, che all’estero ha pieno
valore giuridico, in patria non vale nulla.
La strada da percorrere per
ottenere in Italia il riconoscimento di un matrimonio contratto all’estero è
quella della richiesta di trascrizione dell’atto matrimoniale nei registi dello
stato civile del comune di residenza. La richiesta di trascrivere in Italia un
matrimonio contratto all’estero non incontra, di per sé, limiti nella legge
italiana.
Negli ultimi anni, quindi, molte
coppie omosessuali hanno intrapreso questa strada che però non ha portato ai
risultati sperati. Infatti, come emerso anche recentissimamente dai casi di
Milano, Bologna, Udine e non solo, anche se gli ufficiali di stato civile
accettano di procedere alla trascrizione c’è comunque qualcuno che si mette in
mezzo, come le Prefetture che cancellano i provvedimenti di trascrizione. E qui
comincia un’altra storia, potenzialmente, infinita perché i cittadini si
rivolgono ai giudici affinché le cancellazioni disposte dalle Prefetture
vengano dichiarate illegittime.
Come andrà a finire? Difficile
intravedere un lieto fine. Questo perché l’intervento dei tribunali non può che
portare fino alla Corte costituzionale che verrebbe chiamata (ancora) in causa
per interpretare la Carta e dichiarare incostituzionali le norme del codice
civile che espressamente prevedono che il matrimonio sia tra persone di sesso
diverso.
Eh, già, perché i Comuni che non
trascrivono o le Prefetture che cancellano non è che abbiano tanto margine
d’azione, quando la legge italiana espressamente prevede che il vincolo
matrimoniale sia solo quello tra partner di sesso diverso. Il punto quindi è
questo: o la legge cambia, o non si può pretendere che vengano adottati a
livello comunale provvedimenti illegali.
Spiace dirlo, e non poco, ma la
Corte costituzionale si è già pronunciata su questo tema, nel 2010 (sentenza n.
138). In quel caso una coppia omosessuale aveva ricevuto il rifiuto
dall’ufficiale di stato civile alla trascrizione del matrimonio estero e per
questo aveva fatto ricorso al Tribunale. Il Giudice ha ritenuto di non potersi
pronunciare sul ricorso, e ha sollevato una questione di costituzionalità. In
sostanza il giudice ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare
illegittimi gli articoli del codice civile che prevedono che il matrimonio sia
solo quello tra persone di sesso diverso. Il problema sollevato non era,
quindi, l’illegittimità della decisione di non trascrivere, ma la supposta
incostituzionalità delle leggi su cui questa decisione si era basata.
La Corte, pur riconoscendo che
nella nozione di formazione sociale
tutelata dalla Costituzione è “da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa
come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il
diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia,
ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”
esclude, tuttavia “che l’aspirazione a tale riconoscimento possa essere
realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al
matrimonio”.
Quindi, per ora, niente
matrimonio civile per le coppie omosessuali, anche se (perlomeno) la Corte ha
riconosciuto il diritto fondamentale di queste coppie alla tutela giuridica con
i connessi diritti e doveri. Il punto è che solo il Parlamento, che rappresenta
i cittadini e, quindi ne esercita la sovranità, è legittimato a riconoscere
questi diritti e doveri, non può essere la Corte, né tanto meno gli Ufficiali
di stato civile, a farlo.
Se si
applica la normativa vigente la trascrizione dei matrimoni omosessuali risulta
contraria a norme di legge, quelle del codice civile che espressamente
prevedono la diversità di sesso tra i coniugi.
Se si procedesse con l’iter di impugnazione delle cancellazioni da parte
della Prefettura e si giungesse nuovamente alla Corte costituzionale,
chiedendole di dichiarare illegittime le disposizioni del codice civile,
difficilmente a soli 4 anni di distanza la Corte si pronuncerebbe diversamente
da quello che abbiamo visto sopra.
Anche se
il Parlamento con una legge modificasse le norme del codice civile eliminando
il riferimento alla diversità di genere dei coniugi, a meno di un cambio di
orientamento della Corte costituzionale, sarebbe molto probabile che alla prima
occasione la Consulta dichiari incostituzionale la modifica parlamentare. Sembra
quindi difficile che il Parlamento, già oberato di lavoro, decida di muoversi
in senso contrario alla Corte, lavorando, sostanzialmente, per niente.
L’unica soluzione quindi, è una
diversa presa di posizione del Parlamento, una legge che rispettando il
principio democratico e della sovranità popolare, riconosca le unioni
omosessuali, anche se attraverso una forma di vincolo giuridico diverso dal
matrimonio.
Anche se la Costituzione nulla
dice sul sesso dei coniugi non possiamo far finta di non sapere che i
Costituenti non stavano certamente pensando di legittimare i matrimoni
omosessuali quando nel 1948 hanno scritto l’art. 29. Detto questo nulla
vieterebbe al Legislatore di disciplinarli ugualmente e di interpretare in
maniera evolutiva la Costituzione. Solo che bisogna volerlo. E questa, a
proposito di libertà di scelta, è una cosa che solo il Parlamento ha diritto di
scegliere.